Frammenti, ricordi di Mauro Sarzi
Mauro Sarzi con Giorgio Vezzani ©fotografia di Teresa Bianchi
Il 24 Ottobre in occasione del 20° Anniversario della scomparsa di Otello Sarzi (21/10/2001) Si è svolto un momento di celebrazione all’interno della sala consiliare del Comune di Bagnolo in Piano, Socio fondatore della Fondazione Famiglia Sarzi, ricordando che nel 1996 riconobbe all’artista la cittadinanza onoraria.
Successivamente si è svolta una piccola cerimonia di inaugurazione, all’interno del Comune, di uno spazio dedicato alla memoria di Otello Sarzi.
L’allestimento è stato curato dai designer Milo e Pietro Mussini e sostenuto dal comune di Bagnolo e dalla Azienda Emak in ricordo di Giacomo Ferretti, anch’esso fondatore della Fondazione Famiglia Sarzi.
Noi desideriamo riportare il testo che Mauro Sarzi rilasciò alla rivista del Il Cantastorie di Giorgio Vezzani n 60 Luglio-Dicembre 2001.
Caro Giorgio, ti ringrazio per avermi dato la possibilità di ripercorrere nella mia memoria alcune tappe che partono dall'infanzia a oggi, il ricordo di mio padre burattinaio artista, educatore di vita morale.
I ricordi mi appaiono ormai da più di venti giorni in modi diversi, per immagini nel sonno attraverso sogni o immagini che mi appaiono a occhi aperti in momenti di riflessione come se avessi davanti agli occhi il boccascena di un teatrino, o una moviola, mi appaiono nel salire le scale di casa mia ove ho alcune foto di mio padre, di suoi spettacoli, le sue mani del "Mattino" di Griegg, nel girovagare da un laboratorio all'altro del mio teatro vi sono tracce di spettacoli dove lui ha partecipato, il "Pinocchio" in lingua sarda con Medas grande attore sardo, e lui che si rapporta con la sua lingua (un emiliano - lombardo - Veneto). Attraverso le fotografie di trent'anni fa, quando partimmo per la tournée più lunga che abbiamo fatto in Afganistan, per poi proseguire in Pakistan, India e il ritorno dall'Africa. Tutto via terra tra villaggi, case di terra, ambasciate o regge imperiali.
Mi sono capitati i suoi scritti, appunti di lavori, viaggi fantastici di sogno e libertà che lui spesso faceva. La sua grande forza morale e di vita gli serviva proprio per essere un vero maestro burattinaio, sognatore di mondi migliori, di popoli uniti, di terre senza guerre e il suo Fagiolino pronto a bastonare i prepotenti e i furbi, ne è la sua testimonianza.
Oggi vi sono centinaia di burattinai, molti nati dalla sua scuola, dalla sua generosità di porgere sempre la mano, di lasciare la porta aperta, di avere sempre un piatto pronto e un letto per dormire. Questo modo di vivere lo ha appreso dal proprio padre, cioè da mio nonno Francesco, dalla famiglia sempre pronta e aperta ad accogliere, ascoltare e a discutere.
I miei ricordi vanno a sprazzi di qua e di là come fossero parte di uno spettacolo, "Peppo e i suoi amici", flash di più racconti senza tempo e regole fisse. Ricordo mio padre nel teatro comico, interpretava Felicino. Felicino non era altro che un Fagiolino e allora si lavorava nel "Carro di Tespi". Era lo stretto parente di Fagiolino, la sua figura, e lui lo faceva come attore. Lo ricordo nei racconti che mi faceva ed io in silenzio, fermo fermo, quasi a non voler disturbare, ascoltavo i racconti che lui faceva agli amici suoi, agli attori che si ritrovavano dopo anni di separazione e ricordavano non tanto la fame passata (perché questo era il mondo dei comici), ma le avventure di palcoscenico, gli scherzi fra di loro.
Erano gli anni '52/'55 circa, ricordo gli anni '60 quando quasi tutti i burattinai erano spariti, chi faceva l'elettrotecnico, chi vendeva macchine da cucire, io avevo tredici e ricordo che era difficile rispondere alla domanda "Che mestiere fa tuo padre?" Il burattinaio! Lui era fiero di fare il burattinaio. Era in quel momento nuovamente partigiano, contro i mulini a vento, ma questa battaglia l'ha vinta. I burattini, le sue baracche, il suo teatro sperimentale degli anni '60 gli ha dato ragione, se esistono giovani e generazioni di burattinai lo si deve in gran parte a lui.
Ricordo il periodo romano come un periodo di fame ma di grande felicità per mio padre: piazza Navona, via dei Coronari, a mangiare da Peppino ai "Morti di fame" vicino a via Margutta. Era l'incontro della poesia, della pittura, delle arti, amici di tutto il mondo per ritrovarsi allegramente a progettare i sogni di un mondo migliore. Io allora frequentavo l'istituto d'arte e non mi rendevo conto della fortuna di essere in uno spazio al tempo poetico e ricco di avvenimenti.
Forse era l'età mia di allora, che mi portava a vedere il susseguirsi di quegli avvenimenti come un fatto naturale. Ora ritengo di aver avuto una famiglia straordinaria, come anche mio padre riteneva di avere avuto una famiglia straordinaria. L'amore per la libertà, l'espressione, l'amore per il teatro, l'altruismo, l'amicizia sono valori importanti che hanno formato mio padre al punto di inserire questi valori nel suo teatro di vita.
In agosto ero con la mia famiglia a Bagnolo, ospite per alcuni giorni da mio padre: era lì, instancabilmente attaccato al suo lavoro, costruiva delle maschere con una fatica impressionante, si vedeva che aveva mal di schiena, lavorava in posizioni assurde, continuava a incollare pezzetti di carta in modo lento e continuo, in un silenzio intenso. Era evidente che il suo pensare, il suo immaginare il suo mondo legato alla volontà di essere in Brasile tra la tribù del suo grande amico, in Palestina, tra i Semi, in Svezia da Alfredo l'amico del cuore. Quando gli chiedevo di rimettersi in forza per poter così venire ad aiutarmi, visto che avevo bisogno di lui, in Sardegna, aveva dei momenti di slancio: "Mandami i biglietti". Oppure al telefono con Monica che dalla Sardegna lo chiamava per sapere come stava, gli diceva: "Devo venire da Mauro e mangerò i carciofi che da voi sono così buoni". Ultimamente chiedeva alla sorella Gigliola se gli poteva fare dei piatti come solo lei sapeva fare.
Era poi la cucina della nonna Linda, la mamma del papa.
Ad agosto ci chiese con insistenza di andare a mangiare sul Po, luogo che anche il nonno Francesco amava. Andammo con Laura, Jacopo e Giulia, i miei figli e mia moglie. Lui ormai camminava a fatica, prima di raggiungere la tavola volle sedersi su di una panchina di pietra che dava sul greto del Po. Forse anche lui aveva aiutato il proprio padre Francesco a sedersi e guardare il tramonto e chissà forse anch'io chiederò ai miei figli di accompagnarmi un domani su quella panchina.
Comunque il mio "Pappo" Otello, come lo chiamavo, è sempre con noi e lo sarà con l'immenso lavoro che ha svolto, lo sarà grazie ai tanti amici e allievi. I suoi burattini si rialzeranno presto e torneranno a rivivere nella terra del Po, in giro per il mondo a parlare di pace e fratellanza tra i popoli.
Mauro Sarzi